Amelia Pili, Donna e mamma da 110 e lode

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Amelia Pili

Amelia Pili, trentaduenne sarda, ha deciso che la sua maternità sarebbe stata la sua forza per realizzarsi come donna. Due bimbi, un compagno e un sogno accantonato e poi rispolverato, si è laureata con il massimo dei voti all’Università di Cagliari il 6 aprile scorso in Lingue e Letterature Moderne Europee e Americane – Cooperazione e Mediazione Culturale discutendo la tesi dal titolo “Imparare “culturalmente” ad allattare “naturalmente”.

Sono onorata di poterla intervistare per La Frack Magazine:

Amelia, per prima cosa ti chiedo di dirci qualcosa in più su di te

Ho 32 anni e sono madre orgogliosa di due bambini: Loris, otto anni, ed Isabel di quasi due anni. Insieme al mio compagno Marco, viviamo a Gonnosfanadiga, nel sud Sardegna. Oltre a studiare, leggere e ad accrescere le mie conoscenze, mi piace scrivere, io amo scrivere.

Hai appena conseguito la laurea con il massimo dei voti. Come sei riuscita a conciliare il tuo essere madre con lo studio e ad ottenere dei risultati così ottimi?

Sai, non è facile rispondere! Ti dico la verità: a volte, me lo sono chiesta anche io. In fondo, questo era semplicemente un mio sogno. E essere madre mi ha incoraggiata ancora di più. Prima di diventare madre sono stata una studentessa modello, in corso. Ma ahimè h mollato la tesi!

È stata l’università stessa a risvegliare i miei sensi. Una telefonata dalla facoltà mi ha avvisata che la mia carriera stava per scadere. Così con solo quattro mesi di tempo per scrivere la tesi ho deciso di provarci, nonostante non avessi aperto un libro universitario per sette lunghi anni, e nonostante la paura e la voglia di mollare, alla fine ce l’ho fatta. Il 13 febbraio 2019 ho discusso la mia tesi triennale dal titolo “Antropologia dell’allattamento. Esperienze etnografiche a confronto”. Era il giorno del quinto compleanno di mio figlio. Quale regalo migliore? Per me, per lui. Io ce l’avevo fatta! Dopo anni di silenzio, avevo ripreso in mano tutti quei libri e l’antropologia americana (in Italia non c’è molta ricerca antropologica sull’allattamento al seno). Finalmente, credevo di nuovo in me stessa e nelle mie potenzialità.

Amelia Pili

Amelia Pili

Incinta di Isabel e con la laurea triennale in tasca ho deciso che non avrei più lasciato qualcosa in sospeso e così mi sono iscritta al corso di laure magistrale Lingue e Letterature, mediazione culturale e Cooperazione.

A tutte le mamme che mi hanno contattata in questi giorni, dopo la mia Laurea Magistrale, dico di non mollare mai e di ricordare quello che sono e quello che vogliono essere. Io ho fatto un duro lavoro su me stessa e ho dovuto raggiungere un certo grado di consapevolezza e libertà individuale. Desideravo e desidero essere una donna indipendente, dal punto di vista economico e sociale, non voglio più essere vittima di certi pregiudizi, meccanismi e condizionamenti sociali, culturali e lavorativi che ruotano attorno alla donna e che plasmano e rimodellano le sue scelte e le sue identità, specialmente quando una donna è anche una madre e si trova a dover rispondere a delle aspettative e pressioni sociali. Ora, mi sento più forte, più libera. Noi mamme e noi donne possiamo tutto, esattamente come tutti e tutte. Ma quando recuperiamo la forza “perduta” e ritroviamo noi stesse, è sicuro che nessuno ci può fermare.

Allatti al seno, e ne hai parlato anche nella tua tesi di laurea. Quanto è importante per te la buona informazione e il sostegno per le neomamme che molto spesso si trovano in difficoltà in questo percorso?

Sì, ho scritto tue tesi di laurea sull’antropologia dell’allattamento al seno. Questa mia seconda tesi, a differenza della prima, è anche e soprattutto un lavoro di ricerca. Nonostante i miei otto anni di maternità e la mia esperienza tra le mamme, ho avuto la possibilità di realizzare una ricerca intensiva sul campo in questi ultimi sei mesi. Ringrazio il mio relatore per aver accolto la mia proposta e avermi guidata e incoraggiata. Partecipando agli incontri realizzati dai gruppi di mutuo-aiuto e dalle associazioni di volontariato che operano sul territorio italiano, mi sono resa conto di quanto le madri sentano la necessità di ricevere supporto, aiuto e vicinanza.

Le madri non si sentono mai o quasi mai libere di essere madri come vorrebbero. In particolare, non sono libere nel loro percorso di allattamento – o non allattamento – al seno. Io stessa allatto da otto anni, ho allattato Loris cinque anni e mezzo e so bene di che cosa parlo. Ma l’antropologia non ci dà una chiave di lettura per giudicare e colpevolizzare il mondo, il quale non sostiene o persino denigra l’allattamento al seno. L’antropologia ci dà la possibilità di leggere con una lente diversa il mondo, la società, la cultura, la gente e tutto il sistema politico, medico, economico e lavorativo in cui viviamo. L’allattamento al seno non è soltanto un’attività biologica e naturale.

Quando “non funziona” la colpa viene attribuita alle madri, che “non sono riuscite a mettere a fuoco le loro competenze biologiche e naturali” o che “non hanno latte”. L’allattamento al seno è un processo che interessa tutta la società, è un’attività biologica ma anche un comportamento culturale appreso e trasmesso. La letteratura antropologica lo definisce “un processo bioculturale”.

Amelia Pili

Come sappiamo, le madri hanno difficoltà ad allattare al seno pubblicamente, mentre per tutti è più comune vedere un bambino allattato al biberon, e per la maggior parte delle persone è questa la “normalità”, nonostante ciò sappiamo che alla madre si raccomanda di allattare al seno – in maniera naturale – fino ai due anni e oltre.  Sono queste le linee guida dell’OMS e dell’UNICEF. Il titolo della tesi è, infatti: “Imparare “culturalmente” ad allattare “naturalmente”. Una etnografia delle associazioni di sostegno all’allattamento al seno”.

Possiamo capire quale conflitto viva la madre all’interno della società. Per le madri è molto importante ricevere sostegno e supporto, non solo dall’interno della società nel suo complesso, ma è importante che vengano ascoltate a partire dal loro ambiente familiare. Tra le persone che più si oppongono all’allattamento al seno, specialmente quando la madre allatta oltre i primi sei mesi di vita del neonato o neonata, vi sono i medici, i papà e i nonni del bambino.

A volte, si tratta di scarsa informazione o formazione, quando parliamo dell’ambiente medico e sociosanitario ad esempio, ma molto spesso si tratta soltanto di conoscere quali profonde realtà culturali e sociali si nascondono dietro la pratica dell’allattamento al seno e dietro le scelte di una madre. Anche quando si pensa di analizzare a fondo il problema, la colpa si dà spesso al latte artificiale, al lavoro extra-domestico femminile o alle presunte incapacità biologiche di una madre, ma tutto ciò non ci permette di andare a fondo e non ci dà la possibilità di sperare nel cambiamento.

Sono davvero tanti e infiniti gli aspetti culturali che è possibile approfondire e che sono legati all’allattamento al seno. Innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli del significato culturale e simbolico associato al latte materno, al seno (che presso la nostra società è legato anche – o forse soprattutto- alla sessualità), al corpo di genere femminile della madre.

Durante la mia ricerca, ho partecipato a numerosi incontri e ho incontrato diverse mamme, fisicamente e per via telematica. Ho scritto un diario di duecento pagine e ho dovuto concentrare il lavoro finale in 170 pagine circa, ma devo ammettere che ne avrei potute scrivere altre centinaia. Ho scritto e fatto la mia ricerca allattando al seno, notte e giorno.

È un campo di ricerca infinito e, purtroppo, un terreno di studi non molto approfondito, non quanto meriterebbe, per lo meno. Avrei davvero tanto, tantissimo da dire e, forse, ancora da scrivere. Soprattutto, dopo le numerose richieste di leggere la mia tesi – da parte di ostetriche, pedagogiste, psicologhe e associazioni di volontariato per le mamme che allattano -, mi sono detta che certe conoscenze hanno il dono di arricchire ed è soltanto un bene diffonderle.

Amelia Pili

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Progetti per il futuro?

Il prossimo passo sarà quello di iscrivermi alle graduatorie docenti per insegnare. Ho sempre amato insegnare, e l’ho fatto fin dai tempi delle medie. Io sono bilingue dalla nascita. Parlo il francese e l’italiano e ora sono laureata e specializzata in spagnolo, in inglese e nelle relative letterature. Ma nel mio cuore, c’è anche l’antropologia, ci sono la mediazione culturale e l’apertura verso gli altri.

Penso che non mi fermerò, se la vita me lo concederà. Penso a un master, a specializzarmi a livello accademico per insegnare il francese o l’italiano agli stranieri. A volte, ho pensato a una laurea in psicologia, ma ci ho solo pensato. Non si può fare tutto. E soprattutto, penso a un master o a un percorso più specialistico in antropologia culturale o antropologia medica, per avere la possibilità di ampliare il mio lavoro di tesi di ricerca sull’antropologia dell’allattamento al seno, ma devo essere sincera, ora ho bisogno di riposare almeno un po’ durante questa primavera. Capirò quale strada o quali strade prenderò. Non ho ignorato l’idea di un dottorato di ricerca, ma per ora rimane un’idea.

Ora voglio entrare nel mondo del lavoro che desidero e “partorire” l’idea di un libro mio, che possa leggere chiunque ama sentire le emozioni nel profondo e conoscere i dettagli del mondo.

Ognuno trova il suo potere nelle situazioni che sembrano impossibili. Io devo ringraziare il sostegno del mio compagno in tutto questo. Abbiamo collaborato in maniera impeccabile.

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